Smart working: opportunità o nuova fonte di alienazione? Rispondono Aristotele e Habermas (e altri non citati)

Un’analisi delle caratteristiche sociali del linguaggio, delle potenzialità della comunicazione a distanza su piattaforme digitali e dei rischi di una sua diffusione non ponderata

Ci stiamo dirigendo a grandi passi verso un mondo in cui la comunicazione digitale a distanza attraverso piattaforme sarà sempre più diffusa.

Spinti dalla necessità di proteggere la nostra salute, i luoghi di lavoro e di studio che abbiamo finora frequentato si sono dematerializzati progressivamente, ricostruendosi come simulacri sugli schermi di computer, tablet e smartphone. Quasi senza accorgercene abbiamo sperimentato nuove modalità di comunicazione di gruppo, conquistati dalla potenza del mezzo digitale e dalla semplicità delle sue funzioni base. Ampie e inaspettate categorie di persone sono state coinvolte in questo processo, che si è presentato come l’unica risposta all’insopprimibile esigenza di comunicare in gruppo. Un fenomeno che ha travalicato gli ambiti lavorativi e didattici, ed è diventato in questi mesi uno spazio di incontro sostitutivo, dove si sono svolte feste, chiacchierate e spettacoli.

Una nuova modalità di comunicazione che, in ragione delle sue caratteristiche e della necessità primaria di tutelare la salute pubblica, si candida oggi a diventare nei prossimi mesi centrale per milioni di persone, anche quando muoversi, sia pure con molte limitazioni, sarà possibile.

E per quanto inizi a farsi strada un certo disagio e senso di insoddisfazione, insegnanti, manager, impiegati, semplici utilizzatori stanno per spostare gran parte della loro comunicazione dalla sfera fisica, tra persone in luoghi precisi e connotati, a uno spazio digitale, convinti che non si perda niente.

Ma è davvero così?

Il punto è che nessuno sembra essersi chiesto se e in che misura questa invasione di campo della tecnologia all’interno delle modalità originarie del linguaggio e dello stare insieme – connotati caratterizzanti nel profondo l’essere umano – possano, se non circoscritti e ponderati, determinare un impoverimento comunicativo o, addirittura, alienare la nostra stessa essenza di essere umani.

Per provare a rispondere partiamo dalla definizione della specificità dell’essere umano fatta da Aristotele, per il quale l’uomo è un animale politico e razionale. Politico perché tende a riunirsi con propri simili, dotato di razionalità poiché attraverso di essa si confronta, dialoga e si dà regole di convivenza. Tutte attività che si svolgono attraverso il linguaggio (il logos).

Se accettiamo questa definizione, la domanda successiva è: in uno spazio digitale il confronto e il dialogo sono possibili? Hanno qualità sufficienti per esprimere tutte le loro caratteristiche? In definitiva, persone che comunicano attraverso uno schermo, che mostra ma anche nasconde, possono veicolare informazioni e creare significati, tanto quanto una comunicazione tra più individui, che si svolge in un luogo fisico.

Difficile sostenerlo, anche per il più accanito sostenitore della comunicazione a distanza. Ma si tratta di una convinzione perlopiù intuitiva. Per comprendere correttamente come comunicare in tempo di smart working e di formazione a distanza, bisogna intraprendere analisi più approfondite delle caratteristiche della comunicazione e del linguaggio naturale in particolare.

Senza addentrarsi in analisi filosofiche e linguistiche troppo sofisticate, è evidente che su una piattaforma si perde la ricchezza dei codici non strettamente linguistici che un incontro tra persone veicola. L’espressività dei corpi, il tono di voce, la ricchezza di un dialogo serrato, anche tra più persone, ne escono fortemente depotenziati. La ricchezza dei significati che in un dialogo attengono alla parte non codificata e non razionale del linguaggio si perdono.

Ma non è solo questo ciò che si perde nella comunicazione a distanza attraverso piattaforme digitali. Lo spazio in cui avviene questa modalità di linguaggio già fortemente impoverita è un luogo senza connotati, o meglio con connotati sempre uguali a se stessi. Anche questo è motivo di depotenziamento della capacità comunicativa del linguaggio, poiché il significato di un enunciato è sempre legato allo scenario in cui si manifesta. Il luogo fisico in cui avviene la comunicazione, sia esso una scuola, una casa o un’assemblea, arricchisce e definisce gli enunciati di significati impliciti e condivisi.

Non solo i luoghi attribuiscono significati agli enunciati ma, attraverso l’aspetto emotivo-relazionale che si manifesta nei contatti tra individui e luoghi, questi si fissano nella mente grazie a esperienze, immagini e concetti. Tutti processi che, nella comunicazione a distanza, s’impoveriscono al punto di rischiare di non essere nemmeno percepiti.

Possiamo dire che, in definitiva, la ricchezza comunicativa del linguaggio naturale e lo spazio fisico in cui esso avviene, generano un’esperienza relazionale di vita ricca di modalità intersoggettive – appassionate, imitative, emulative, affettive e cognitive –, che arricchiscono il linguaggio stesso di qualità essenziali, indispensabili non solo a veicolare informazioni, ma anche a donargli senso.

La dimensione relazionale del linguaggio sin qui descritta viene ulteriormente svelata dalla ricerca da Jurgen Habermas. Nella sua analisi sull’Agire sociale, il filosofo e sociologo tedesco introduce il concetto di Agire comunicativo. Si tratta di una proprietà originaria ed essenziale del linguaggio, attraverso la quale gli esseri umani costruiscono, accordo dopo accordo, regole sociali, norme etiche od opinioni che diventano fatti e interpretazioni del mondo. La caratteristica fondante l’Agire comunicativo risiede nel fatto che esso può avvenire sono nell’accordo dei partecipanti sui significati degli enunciati che sono espressi. Una parola, un segno, un ruolo sono tali solo se coloro che se li tramettono concordano, in linea massima, sul loro significato. In caso contrario la comunicazione non esiste.

Ma il linguaggio non è solo Agire comunicativo, sempre secondo Habermas, intrecciato a esso ci sono l’Agire teleologico e l’Agire regolato da norme, che trasmettono informazioni già codificate, come ordini, messaggi, idee e fatti. Semplificando al massimo potremmo dire che l’Agire comunicativo crea significati condivisi, mentre l’Agire teleologico e Regolato da norme li trasmette.

Sulla base dell’analisi di Habermas, la comunicazione digitale a distanza attraverso piattaforme appare più adatta per l’Agire linguistico teleologico o Regolato da norme. Anzi, può risultarne addirittura potenziata, soprattutto nell’efficacia rispetto le categorie fisiche di spazio e tempo. Tutti abbiamo fatto l’esperienza dell’azzeramento dei tempi di spostamento comunicando attraverso una piattaforma digitale. Così come l’esperienza di archiviare e poi riascoltare quando detto all’infinito e ovunque, della possibilità di usare diversi device, e attraverso la multimedialità, arricchire la ricchezza dei contenuti comunicati. Anche da un punto di vista pratico – Habermas direbbe teleologico – la rigidità del mezzo costringe i partecipanti a comunicare in modo ordinato, per obiettivi e riducendo al minimo le comunicazioni che non riguardano l’oggetto del dialogo.

Al contrario le caratteristiche della comunicazione digitale limitano fortemente l’Agire comunicativo, poiché esso, per esprimersi ha bisogno di relazioni intersoggettive soddisfacenti e di luoghi connotati, che accolgano quel livello di indeterminatezza che consente alla comunicazione la plasticità necessaria per creare nuovi accordi tra parlanti e quindi nuovi significati. L’Agire comunicativo inoltre ha bisogno per esprimersi di un livello di libertà tale che deve essere il meno possibile vincolato dall’intermediazione di mezzi, di tempi, modi, percorsi e modalità di esercizio.

Se accettiamo queste analisi, l’organizzazione del lavoro e della didattica prossima ventura, quando il distanziamento sociale sarà allentato, non dovrà avvenire esclusivamente sotto la spinta delle circostanze o della necessità del profitto, ma dovrà tenere conto delle caratteristiche del linguaggio e delle sue molteplici dimensioni.  

Nella fase dell’emergenza, chi ha lavorato in smart working o ha partecipato a sessioni di formazione a distanza ha fatto un’esperienza positiva, a tratti esaltante, ma la comunicazione si è ridotta a passaggio di informazioni, impoverendo emotivamente le relazioni esistenti, non consentendone la creazione di nuove, limitando in questo modo fortemente la possibilità di creare nuovi significati o semplicemente nuove idee.

Una condizione comunicativa questa che, se mantenuta oltre la fase emergenziale senza la consapevolezza di ciò che può essere comunicato con efficacia in smart working e ciò che non lo può essere, rischia fortemente di depauperare l’intera dimensione sociale della comunicazione, creando condizioni di alienazione diffusa.

Giornalista dello scorso millennio, appassionato di politica, cronaca locale e libri, rincorre l’attualità nella titanica impresa di darle un senso e farla conoscere, convinto che senza informazione non c’è democrazia, consapevole che, comunque, il senso alla vita sta quasi tutto nella continua rincorsa. Nonostante questo è il direttore “responsabile”.

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