Stati generali, corsi e ricorsi storici, da Luigi XVI a Giuseppe Conte II
Il cinque maggio per motivi diversi è data assurta a simbolo universale. Il cinque maggio 1789 Luigi XVI convocava per l'ultima volta gli Stati Generali. Era il tentativo disperato di salvare la sua Francia da
Il cinque maggio per motivi diversi è data assurta a simbolo universale. Il cinque maggio 1789 Luigi XVI convocava per l’ultima volta gli Stati Generali. Era il tentativo disperato di salvare la sua Francia da uno sfacelo fin troppo annunciato. La sede prescelta nel suo grandioso sfarzo era naturalmente Versailles. Più di mille persone a rappresentare clero, nobiltà e,come ultimo gradino, il popolo. Due mesi più tardi le folle inferocite davano l’assalto alla Bastiglia, sanzionando definitivamente l’insuccesso dell’iniziativa.
Occorreva una grande passione per la Storia per rievocarne una pagina tanto significativa. O forse una grassa ignoranza. A duecento trent’anni di distanza toccava all’aspirante sovrano Giuseppe II rievocare il passato e ripercorrerne i fastosi passi.
Già ci aveva provato con il piano Rinascita (quello della loggia P2 di Licio Gelli), che richiamava alla memoria momenti meno memorabili della storia patria. Era Giuseppe II l’immediato successore del suo omonimo Giuseppe I. Qualcuno si spingeva a dire che fossero la stessa persona, l’ultimo erede di una pletora di sosia che la letteratura ci aveva consegnato, da Plauto a Dostoevskji. O la strana reincarnazione del Dottor Jekyll e Mr. Hyde, una meravigliosa quanto incredibile trasformazione di sé, un Giano bifronte capace di passare disinvolto da un giorno all’altro a dirigere governi verdi e gialli e rossi, trasmutandoli con un colpo di bacchetta magica in governo arlecchino, come nella miglior tradizione di ogni maschera italica.
Non aveva a disposizione Versailles ma cercava di fare del suo meglio. Una splendida villa romana attorniata dagli immancabili giardini destinata a suscitar stupore negli occhi e nel cuore degli illustri ospiti. Tra gli invitati non potevano mancare gli architetti più famosi, che ora si chiamavano archistar, forse pronti a riattivare magici giochi d’acqua da zampillanti fontane, e nugoli di artisti che secondo le parole di Giuseppe ‘tanto ci fanno divertire’ e ‘le menti brillanti’ di un Italia alla perenne ricerca del nuovo Leonardo. Mancavano giusto i nani e le ballerine di antica memoria. Soprattutto le ballerine, utili a compensare la cronica disparità fra presenze maschili e femminili.
Con la passione un po’ pedante di quelli che si ostinano a dare strana rilevanza alla Storia si può rimetter mano a qualche vecchio libro di scuola, e riscoprire nomi persi nell’oblio, la sala della Pallacorda, il ministro Necker, un deputato che si chiamava Guillotin e che avrebbe inventato uno strumento atto a risolvere sbrigativamente il problema della sovrappopolazione e poi i girondini, i giacobini e i montagnardi, e Robespierre, Marat e Danton, figure che si confondono nella mente, ricordo di un’era breve in cui i mesi si chiamavano brumaio e vendemmiaio, pratile e fiorile.
Era iniziato tutto lì, nella splendida cornice della reggia che ancora oggi possiamo ammirare fra la sala degli specchi e il ricordo delle brioches gettate al popolo in luogo del pane che al tempo, si sa, scarseggiava. Poi sarebbe venuto il resto, il re che fugge in carrozza, gli anni del terrore, l’irrompere sulla scena di Napoleone, il mondo messo a ferro e fuoco che rapidamente cambiava e altrettanto rapidamente tornava quello di prima. Tempi diversi, vite parallele. O forse è solo un sogno. Come recitavano le didascalie finali dei vecchi film ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente avvenuti è puramente casuale.