Un “Caleidoscopio” narrativo per gli amanti del thriller

Probabilmente è già stato raccontato quasi tutto nel mondo del Cinema. Specialmente quando facciamo riferimento a un filone ben specifico come il poliziesco dei “colpi in banca”, i raggiri e le sparatorie giusto fuori dai

Probabilmente è già stato raccontato quasi tutto nel mondo del Cinema. Specialmente quando facciamo riferimento a un filone ben specifico come il poliziesco dei “colpi in banca”, i raggiri e le sparatorie giusto fuori dai caveaux di massima sicurezza. E dopo James Bond, gli “inseguimenti all’americana” e le acrobazie improbabili di Mission Impossible, la vera “missione impossibile” è affascinare gli spettatori attraverso un modo insolito di presentare i fatti. La sperimentazione più affascinante però, precisa come un colpo da biliardo, arriva puntuale dagli Stati Uniti, con una narrazione a forma di “puzzle”, già collaudata a onor del vero dal “maestro e golden boy” Quentin Tarantino. Questo accadeva quasi trenta anni fa circa. L’incantesimo si ripete adesso in questo 2023 con “Caleidoscopio” di Eric Garcia in programmazione su Netflix.

Ambientata negli anni ‘70 a New York cupa, la serie racconta di una banda di autentici professionisti della rapina, ma dagli umori talmente instabili da rischiare di far fallire un colpo ai danni di una società di gestione della sicurezza dei crediti di proprietà dei magnati più potenti della terra. Nulla di nuovo dal fronte del thriller, oseremmo dire. Eppure la maestria di questa miniserie risiede nel dedicare ognuno dei sei capitoli a un colore preciso e senza una sequenza cronologica fissa, proprio come il normale effetto ottico di un Caleidoscopio, dove invertendo l’ordine dei colori e delle forme, si ottiene comunque un’immagine dotata di grande effetto.

“Caleidoscopio” in questa sua prima (e speriamo non ultima) serie, rappresenta proprio un “gioco narrativo”,  dove partendo da un soggetto ultra-tradizionale, si mescolano gli eventi nella giusta maniera da permettere allo spettatore di perdersi o scegliere una sequenza differente, per ricongiungersi poi in un finale aperto, poetico o comunque anch’esso non definito da poter ritenere “chiusa la partita”. Stavolta il cinema stupisce non tanto per “cosa” racconta ma per “come” lo racconta e attraverso una serie di eventi e di personaggi che non ne escono come semplici pedine di un gioco, ma sono dotate di caratterizzazione e di tratti espressivi ben definiti.

Primo su tutti il capobanda e protagonista di origine italiana Giancarlo Esposito, coadiuvato da altri co-protagonisti di esperienza e rispetto come Paz Vega e Rufus Sewell. Effettistica speciale a parte, e comunque sempre al massimo grado espressivo di efficienza, come Hollywood esige, rimangono impressi scambi di battute dove si alternano momenti di ilarità, tensione e strategia, ma anche debolezze umane fra rapporti sentimentali mal vissuti e rapporti insanabili anche fra genitori e figli. Praticamente un caleidoscopio di emozioni e situazioni che sembrano davvero sfuggire di mano e nelle quali siamo chiamati a ricomporre il tutto secondo la nostra personale “regia mentale” da spettatori e amanti di un cinema non banale o comunque di un thriller che anche in questo caso rimane d’autore.

Laureatosi nel 2001 al Dams è attualmente impegnato nel settore commerciale e logistico Italia / Estero. Teamplayer e rivendicatore della libertà di espressione fra Politica, Musica e Spettacolo. Sogna una nuova Nouvelle Vague da ricreare a Milano ascoltando una vecchia canzone anni '80 e un goal del... Milan! Citazione preferita: "Tre film al giorno, tre libri alla settimana, dei dischi di grande musica faranno la mia felicità fino alla mia morte" (F. Truffaut).

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